lunedì 8 gennaio 2007

Ti amo Goldie

Un notte fredda e viscida come una cena cinese appena levata dal frigo. Il mio impermeabile quasi tocca terra, ma non glielo permetterò visto quello che ho pagato al muso giallo per lavarlo a secco.
Il viale è lungo e solitario e il solo suono che arriva alle mie orecchie quello dei tacchi di legno delle mie Rossetti nere pece che stritolano piccoli sassi sull'asfalto. Non ho bisogno di toccarla. So che è li, lucida e calda, nascosta tra l'omero e il petto come un cobra sputa fuoco. Ha la voce grossa la mia Enfield MK1, ma nessuno ha mai avuto tempo di lamentarsi: se il colpo va a segno apre un cranio come un'ascia apre un melone maturo e io non sbaglio mai! La mia vecchia quattro ruote della stessa tonalità delle mie scarpe è parcheggiata trentasette passi in linea d'aria dalla mia schiena. Non è che li conti i passi ma so quanti sono perchè io sono io e certe cose mi vengono ormai naturali, come respirare o sparare. Passo a meno di un metro da una puttana e neppure mi chiede se voglio fare un giro. Non ha bisogno di guardarmi dritto negli occhi per capire cosa sono. Vive sulla strada e certe cose le capisce per istinto, come un cane non ha bisogno di buttarsi nel fuoco per sapere che brucia. Fa freddo. Neppure lo avverto, ma vedo il mio respiro condensarsi davanti alla mia faccia. Me ne accendo una senza filtro. Fumo poco, il fumo fa tremare la mano, ma quando lo faccio voglio sentire la nicotina aggredirmi i polmoni. Il cancro non lo temo. E' lui a temere me. Altri venti passi scricchiolanti. Neppure il vento osa soffiare in mia presenza. Avrei diritto ad altri due tiri, ma spengo la sigaretta contro il muro: dove sto andando attirerebbe troppe attenzioni. Posso essere invisibile e letale come un virus, ma non è ciò che voglio. Il piano non lo prevede. Mi basta passare per uno qualunque. Giro l'angolo e vedo balenare il verde veleno del neon del locale. Lì c'è il mio bersaglio. E' lì che farò ciò che so fare meglio, come solo io lo so fare. Affretto il passo, non è da me, ma non posso perdere altro tempo. Il negro enorme davanti all'entrata esita solo un momento. Ma si fa da parte e mi lascia entrare, anche lui ha capito. Non c'è molta gente. Meglio. Mi basta un attimo e prendo la direzione giusta: una porta di legno bucherellata dietro alla quale sta il mio obbiettivo. Il respiro si fa affannato, il cuore accelera i battiti. Non ho calcolato bene i tempi, cristo, ma non posso arrivare in ritardo sull'obbiettivo. Allungo il passo e apro la porta con una violenta manata. Ho solo pochi secondi. Il fetore mi avvolge. Presto,cazzo. Una rapida occhiata ed ecco la seconda porta. Basta un calcio e la spalanco. Si richiude alle mie spalle con un tonfo. Ed ecco il bersaglio. Sudo freddo, ma ancora per poco ormai. Giro su me stesso di cent'ottanta gradi e mi calo i pantaloni. Mi siedo sulla tazza e un sorriso di palesa sulle mie labbra. Appena in tempo, cazzo, appena in tempo.

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